È stata introdotta in Italia nel luglio 2019 la legge Codice Rosso, mirata a tutelare le donne che subiscono violenze, atti persecutori e maltrattamenti. L'obiettivo della normativa è di far sentire le donne più sicure e di aiutarle a denunciare gli abusi subiti. Da allora, il numero di denunce è aumentato, tuttavia, le donne che subiscono violenza continuano a temere la vittimizzazione secondaria nel processo penale e civile. Secondo la commissione di inchiesta parlamentare sul femminicidio, solo il 15% delle donne vittime di abusi è disposto a denunciare, il 67% non vuole parlare dell'accaduto con nessuno, nemmeno con un'amica, per paura di non essere credute.
La Cassazione ha ribadito in più sentenze che la condanna per reati di violenza domestica e sessuale potrebbe essere fondata anche sulla sola testimonianza della persona offesa, la cui credibilità va valutata con grande attenzione. Tuttavia, la cultura giudiziaria è ancora influenzata da stereotipi e pregiudizi che mettono in dubbio la parola delle donne. A volte, le denunce vengono bloccate già nella fase delle indagini con una richiesta di archiviazione da parte del PM, motivata dal fatto che non ci sono altre testimonianze oltre a quelle della persona offesa riguardo ai fatti.
Esiste poi un altro tipo di violenza, meno visibile di quella fisica, ma altrettanto pericolosa: la violenza psicologica. È ancora più difficile portare la prova di una violenza che non sia fisica ma che sia psicologica. In questo caso, la testimonianza della donna raccolta da un professionista può essere un elemento di riscontro della sua credibilità.
Nonostante esistano norme a tutela delle donne in Italia, il problema risiede nell'applicazione delle stesse e nella cultura che condiziona l'interpretazione delle norme. Denunciare è un atto di coraggio che spesso le donne non vogliono affrontare da sole. Per questo, esistono centri antiviolenza come il Cadmi che accompagnano le vittime di abusi e maltrattamenti nel loro percorso di rinascita e le aiutano a fare una denuncia.
La generazione Z sembra essere più informata e sensibile sul tema, tuttavia, molte donne, soprattutto quelle in situazioni più difficili, trovano difficile accedere agli strumenti di tutela e trarre da questi tutti i benefici che possono dare. Il problema della paura di denunciare è culturale e spesso viene visto come un tentativo di scalata sociale o di ricerca di benefici, invece di essere considerato un atto necessario per proteggere le donne.
La Cassazione ha ribadito in più sentenze che la condanna per reati di violenza domestica e sessuale potrebbe essere fondata anche sulla sola testimonianza della persona offesa, la cui credibilità va valutata con grande attenzione. Tuttavia, la cultura giudiziaria è ancora influenzata da stereotipi e pregiudizi che mettono in dubbio la parola delle donne. A volte, le denunce vengono bloccate già nella fase delle indagini con una richiesta di archiviazione da parte del PM, motivata dal fatto che non ci sono altre testimonianze oltre a quelle della persona offesa riguardo ai fatti.
Esiste poi un altro tipo di violenza, meno visibile di quella fisica, ma altrettanto pericolosa: la violenza psicologica. È ancora più difficile portare la prova di una violenza che non sia fisica ma che sia psicologica. In questo caso, la testimonianza della donna raccolta da un professionista può essere un elemento di riscontro della sua credibilità.
Nonostante esistano norme a tutela delle donne in Italia, il problema risiede nell'applicazione delle stesse e nella cultura che condiziona l'interpretazione delle norme. Denunciare è un atto di coraggio che spesso le donne non vogliono affrontare da sole. Per questo, esistono centri antiviolenza come il Cadmi che accompagnano le vittime di abusi e maltrattamenti nel loro percorso di rinascita e le aiutano a fare una denuncia.
La generazione Z sembra essere più informata e sensibile sul tema, tuttavia, molte donne, soprattutto quelle in situazioni più difficili, trovano difficile accedere agli strumenti di tutela e trarre da questi tutti i benefici che possono dare. Il problema della paura di denunciare è culturale e spesso viene visto come un tentativo di scalata sociale o di ricerca di benefici, invece di essere considerato un atto necessario per proteggere le donne.