I nuovi padroni delle parole

Politically Correct. E’ un’espressione che sentiamo sempre più spesso. Molte oggi le parole messe al bando, le parole che non si dicono, o meglio, che non si devono dire. Ma chi decide quale vocabolario possiamo o non possiamo usare? Le parole hanno davvero dei padroni? Noi lo abbiamo chiesto a Mario Arbis, sociologo e docente all’Università Iulm di Milano

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Le parole che bruciano le parole sono quelle che non si dicono, o meglio, quelle che non si devono pronunciare secondo la nuova tavola della legge del politically correct, un fenomeno che sta prendendo sempre più piede nella società. A parlare di questo tema è stato il sociologo e docente all'Università di Milano, Mario Avis, il quale ha spiegato che il politically correct ha a che fare con la caduta di valore della politica, che oggi si è ideologizzata e formalizzata, ma conta sempre meno.

Il politically correct, dunque, si occupa degli aspetti formali del linguaggio, del comportamento e delle relazioni, e impone di non assumere linguaggi violenti o che vadano contro la parità di genere o i diritti dei più deboli. Quando si va fuori da questi schemi si parla di politicamente scorretto. Ma chi decide le parole che si possono o non si possono utilizzare?

Secondo Avis, i linguaggi hanno a che fare con dei poteri che sono più formali che sostanziali e che tutti i linguaggi cosiddetti nuovi sono molto deboli dal punto di vista del significato proprio politico perché la base politica è debole a sua volta. Inoltre, il politically correct è il nuovo perimetro del lecito mal dizionario, che cambia per includere o rischia di impoverire e limitare l'uso delle parole.

Ma chi sono i padroni delle parole? Esistono delle comunità di potere che sono arbitri di certe parole e della legittimazione di altre parole, come i gruppi omosessuali, che sono un potere anche economico e culturale. Inoltre, il peso dei media è fondamentale nel processo di autocomunicazione che c'è nella rete, che serve a poter dare soprattutto ai giovani la possibilità di inventarsi parole nuove, creare dei codici continuamente trasformativi e creativi.

Tuttavia, secondo Avis, c'è una grande povertà linguistica e un grande conformismo. Il tema dell'essere corretti significa chiudere il perimetro e limitare l'uso della parola, e questo non serve a poco nulla, perché essere se stessi non vuol dire limitare la libertà degli altri.

In conclusione, il politically correct ha cambiato il modo di parlare e di comunicare nella società, ma bisogna fare attenzione a non cadere nell'estremismo e a rispettare il pensiero degli altri senza limitare la propria libertà.

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