Inondati dalla plastica

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Oltre Bitcoin esiste un protocollo poco conosciuto ma che permette di effettuare transazioni a costi bassi e nel rispetto della privacy: si chiama Lighting Network. Per capire meglio di cosa si tratta, abbiamo chiesto aiuto a Marco Crotta, Blockchain Expert di Blockchain Cafè. Si tratta di un protocollo di layer 2, ovvero si parte dalla base solida di Bitcoin e si costruisce qualcosa di leggermente diverso. Il protocollo Bitcoin nasce per essere fondamentalmente sicuro e garantire la sua funzione principale, ovvero essere distribuito. Ci sono delle ragioni matematiche alla base per cui quando si sceglie questi due come capisaldi, si deve necessariamente sacrificare la scalabilità, ovvero la velocità. Lightning Network è un tentativo abbastanza riuscito di superare questa limitazione, non intervenendo sulle fondamenta ma costruendo qualcosa di aggiuntivo su quelle fondamenta. Permette di avere transazioni molto veloci, quindi veramente istantanei, ha dei costi residui (stiamo parlando di millesimi di euro per ogni transazione).

Parlando di futuro, la sostenibilità del denaro diventa un elemento imprescindibile, anche il denaro deve diventare ecologico.

Secondo il rapporto Research Futures, 218 milioni di persone sono a rischio inondazione causata dai rifiuti di plastica, il numero è equivalente alle persone di Regno Unito, Francia e Germania messe insieme. Negli ultimi anni, soprattutto nel sud est asiatico, i rifiuti di plastica bloccano i sistemi di drenaggio causando inondazioni in diversi paesi e a farne le spese sono le popolazioni più povere. L'inquinamento da rifiuti di plastica è raddoppiato nell'ultimo decennio e si prevede che triplicherà entro il 2060. Solo il 9% poi viene riciclato a livello globale. Gli oggetti di plastica che più comunemente bloccano i sistemi di drenaggio secondo il rapporto sono bottiglie, pieni di nylon dell'industria della pesca, sacchetti di plastica e bustine.

Uno studio effettuato da alcuni ricercatori dell'Ospedale Universitario di Tromso nella Norvegia settentrionale ha dimostrato che più attività fisica equivale a una soglia del dolore più alta. L'esercizio fisico infatti può rilasciare alcune sostanze chimiche che agiscono come antidolorifici naturali. I ricercatori hanno misurato la tolleranza al dolore attraverso il cold-pressor test che prevede che le persone pongano le mani nell'acqua ghiacciata il più a lungo possibile. Il team ha analizzato i dati di oltre 10.000 persone raccolti attraverso due cicli dello studio condotti dal 2007 al 2008 e dal 2015 al 2016.

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